Un recente rapporto offre spunti interessanti su presente e futuro del welfare italiano, e sul ruolo sempre più influente del mondo delle imprese.
Come sta cambiando il welfare italiano? Gli ultimi anni di pandemia stanno modificando gli assetti, mettendo in luce problematiche già note e proponendo nuove sfide: questo l’argomento del Quinto Rapporto sul secondo welfare, a cura del Laboratorio Universitario Secondo Welfare dell’Università degli Studi di Milano.
Se lo Stato è tornato protagonista dell’arena del welfare, mettendo in campo risorse e competenze lasciate per anni in secondo piano, al contempo appare ormai chiaro che gli attori del cosiddetto secondo welfare – aziende, fondazioni, sindacati, associazioni datoriali, consorzi, enti non profit e gruppi informali di cittadini – non hanno fatto passi indietro, ma anzi sono diventati sempre più importanti per rispondere efficacemente a rischi e bisogni sociali, e dunque per dare il loro importante contributo al benessere dei cittadini.
Ma quali sono i vantaggi per le aziende? L’adesione dell’azienda a un piano di welfare (che può comprendere coperture sanitarie, piani di formazione..) coniuga attrattiva, produttività e vantaggi fiscali.
I piani di welfare sono un importante strumento sempre più utilizzato dalle aziende per offrire benefit ai propri dipendenti. Promuovere il benessere e la soddisfazione del lavoratore significa mettere in moto un circolo virtuoso: lavoratori appagati e in grado di ben bilanciare vita privata e professionale saranno risorse in grado di lavorare con maggiore produttività e contribuiranno alla creazione di un clima aziendale più disteso e sereno. È in questo modo che le aziende aumentano anche la propria attrattiva, migliorando la capacità di attrarre e trattenere le migliori risorse e limitando il turnover.
A ciò si aggiunge la convenienza fiscale, grazie alle agevolazioni previste dallo Stato: il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) individua somme e valori che, se erogati dal datore di lavoro alla generalità dei dipendente, non concorrono alla formazione del reddito per il dipendente e sono deducibili dal datore di lavoro ai fini IRES. Inoltre, bisogna considerare il risparmio dovuto all’azzeramento del prelievo fiscale e contributivo su beni e servizi.
Fonti: secondowelfare.it, assinews.it, pensionielavoro.it